«Una casa è una scultura psichica, un ordine di spazializzazione della nostra anima e di gestualizzazione del corpo: la sua traduzione in gesti, abitudini e sentimenti».
Lo scrittore Emanuele Coccia in “Filosofia della casa” parla della casa come uno luogo fisico, psicologico ed emotivo, che altro non è che il prolungamento del nostro corpo: è uno spazio in cui tenere le gambe sollevate o allungate – insomma; è una porzione di mondo che ognuno di noi occupa attraverso i gesti e i pensieri che li sostengono.
Più che una planimetria psichica, credo che la casa sia innanzitutto una planimetria dell’anima in cui conoscere, pian piano, il nostro personalissimo ritmo dell’abitare.
Non si tratta però tanto di abitare le case – la questione è per fortuna molto più divertente – , quanto piuttosto di abitare le cose. Perciò bagni, cucine, camere da letto (con tutte le nostre cose dentro) diventano mondi a sé coi quali identificarsi, in maniera assoluta, separata, senza però rinunciare a un’interconnessione tra gli spazi che nel mondo di oggi si è fatta necessaria.
Nel frattempo, è la stessa divisione strutturale delle stanze a raccontaci di come ogni spazio abitativo sia connesso a determinati gesti umani, a una realtà domestica specifica e a memorie della casa distinte dalle altre.
Se bisogna poi ripensare agli spazi all’interno di un luogo che di memoria ne ha in abbondanza, e si opera scegliendo come linee guida l’eleganza e la fluidità, il risultato è quello di “Casa Piedigrotta” a Napoli. È questo il nome del progetto di ristrutturazione di un appartamento privato all’interno del Palazzo dell’ex Odeon nel quartiere Chiaia, ad opera degli architetti napoletani Alberta Imer e Fulvio Giannotti.
Palazzo dell’ex Odeon e le sue vite precedenti: attraverso il marmo rosso delle colonne
Siamo nel quartiere Chiaia, a due passi dalla metro di Mergellina e dal lungomare; qui, una bellissima facciata (per lo più) color mattone si staglia – immensa – nell’azzurro del cielo.
Il marmo rosso è intenso intorno alle “pseudocolonne” ioniche che formano un porticato come se fossimo in un tempio greco (di qui “odeon”), colore che poi si attenua nelle porzioni di facciata che, a guardarla – con i suoi balconi e le cariatidi a sorreggere (sculture di donne che fungono da colonne) – semplicemente incanta.
Costruito nel 1930 dall’architetto Giovanni De Fazio, questo edificio monumentale va sotto il nome di Palazzo dell’ex Odeon visto che, nelle sue vite precedenti, è stato molte cose: un teatro (che vide esibirsi anche Totò), un cinema, una discoteca addirittura, una sala bingo, poi un supermercato.
All’interno di questa dimensione architettonica dall’anima camaleontica si inserisce quindi questo appartamento privato di Casa Piedigrotta, e la discrezione della sua ristrutturazione sta proprio nel rispetto di un luogo carico di narrazioni.
Costruire intimità tra memoria e design moderno: interconnessione e riservatezza
Se qualcuno chiedesse: cos’è casa? risponderemmo semplicemente: un luogo di ritorno, di ritrovo, di “iniziazione” e di cura.
Gli architetti (poco più che trentenni) Alberta Imer e Fulvio Giannotti hanno dato forma nuova all’antico appartamento di 120 metri quadrati in Piazza Piedigrotta secondo un gusto essenziale ed efficace, dal quale magari prendere ispirazione.
Ridistribuiti per bene, gli spazi abitativi di Casa Piedigrotta sono innanzitutto collegati da una luce naturale che li attraversa tutti, una luce ricavata grazie ad accorgimenti strutturali, come la grande vetrata che separa la zona living dalla cucina lasciando vibrare però quell’interconnessione a cui prima accennavo.
Parole chiave del progetto sono “pulizia” e “fluidità”, perciò una libreria a tre archi con ante e scaffali in verde salvia si fa principio di continuità tra la zona cucina e la zona soggiorno. Davanti a questa, c’è un morbido divano con chaise longue e poi una lampada da terra minimale, dallo stile industriale, che riprende il nero dei bordi della vetrata, così come delle sedie del soggiorno e delle sedute degli sgabelli in cucina.
Pezzi vintage, gli sgabelli si raccolgono intorno all’isola centrale di una cucina dal design estremamente fine mentre, in alto, un’illuminazione a binario con faretti completa con sobrietà il quadro. Un mobile sospeso circondato da ceramiche d’autore e uno specchio circolare caratterizza, invece, il bagno di Casa Piedigrotta che resta coerente, nel gusto, agli altri spazi abitativi seppur rimanendo, come in tutte le case, il luogo più esclusivo degli altri.
L’autore del saggio “Filosofia della casa” non a caso descrive il bagno come «una casa nella casa, il privato del privato, la stanza chiusa a chiave», come lo spazio della cura personale e quello in cui si entra con un «desiderio ostinato di estraneità».
Per quanto riguarda il letto, invece, lo scrittore pone ancora un’altra riflessione: «È il teatro di un letargo quotidiano, delle nostre fughe ricorrenti. È fatto per quelle lunghe ore in cui il nostro corpo è poco più di un vestito abbandonato a terra e noi smettiamo di esserci per chiunque. Persino per noi stessi».
Letto contenitore, boiserie tutt’intorno, scrittoio disposto a angolo per il maquillage e cabina armadio “nascosta” abitano – in definitiva – la zona notte di Casa Piedigrotta. Si tratta di una zona che resta appartata nella sua intimità, ma che non rinuncia a fondersi col resto della casa in una visione moderna d’insieme che ha inglobato elementi d’epoca, passaggi ad arco e soffitti alti per rispettare l’anima antica del palazzo.
Due balconi, infine, danno verso la città. È sul balcone, quella zona a metà tra il dentro e fuori, che si generano i pensieri più importanti ma anche quelli più bizzarri, o almeno a me così succede. A questo proposito, si potrebbe lasciare qui un’ultima considerazione dello scrittore che ci ha accompagnato (disseminando qua e là un pensiero) in questa visita a Casa Piedigrotta, per poi farci, senza grosse pretese, altre domande collaterali immaginandoci proprio fuori a un balcone, sotto l’occhio impassibile delle cariatidi.
Perciò: se il lavoro entra nelle case, possono le case uscire da loro stesse? Possono i nostri letti essere portati nelle strade, per esempio? Possiamo anche lì addomesticarci ed essere addomesticati, trasportando con noi tutti i diritti che tra le mura di casa ci concediamo, come per esempio quello di annullarci e risvegliarci tutte le volte che ne avvertiamo il bisogno? La città sarebbe pronta? E noi?
Fotografie di Carlo Oriente.

Grazie a Fulvio Giannotti, Alberta Imer e Carlo Oriente.