«Viviamo nello spazio, in questi spazi, in queste città, in queste campagne, in questi corridoi, in questi giardini. Ci sembra evidente. Forse dovrebbe essere effettivamente evidente. Ma non è evidente, non è scontato». 

Lo scrittore francese Georges Perec la pensa così sugli spazi, quei microcosmi che attraversiamo ma dei quali non ci accorgiamo se non nella misura del nostro piede, che in quella frazione di tempo sta calpestando il marciapiede e magari anche un chewing gum. 

Ma il marciapiede, le strade, i porticati dei palazzi sono appunto dei microcosmi che volendo si possono abitare, per un momento, anche per delle ore, e – volendo – vi si può anche “so-starea riflettere, immaginare, considerare.

Perché allora non fare questo gioco di coscienza a partire dai rifiuti urbani, che nei nostri spazi pubblici sostano abbandonati (per poco ma anche per troppo tempo), eppure riflettono un intero repertorio di simboli e significati? 

Perché non farlo a partire da un divano scartato che, compartecipando ad un arredamento urbano spontaneo, mostra (seppur con un leggero sforzo da parte dell’osservatore ad andare oltre) fatti di quartiere, temi caldi come quello dei B&B, misteriose storie di famiglia e i piccoli-grandi problemi che riguardano Napoli tutti i giorni?

Per Alessandra Mustilli, architetta e fotografa napoletana, riflettere sul salotto (divano o mobilio) abbandonato per strada significa proprio fare una lettura del territorio a differenti scale dello spazio urbano, attraverso la quale ragionare su come l’appropriarsi dello spazio urbano da parte di mobili abbandonati possa evidenziare problemi della città, alcune sue ignorate necessità e possa anche portare la mente verso qualche fantasticheria.

Prendevamo un caffè in centro quando le ho chiesto di “Salotti Napoletani”, la pagina Instagram che Alessandra ha fondato e aperto qualche anno fa, tra il 2019 e il 2020, quando fu catturata da un riferimento familiare per strada, rintracciato in un divano abbandonato: 

Mi diverte dire che puoi capire tanto da un rifiuto, anche nel posto in cui lo trovi e soprattutto nel periodo in cui lo trovi. Perché questo racconto, questa pagina (Salotti napoletani), che poi è diventata una collezione di immagini, è una lettura del territorio, dei suoi rifiuti e dei cambiamenti dei quartieri. 

Roof Mediterraneo: intervista ad Alessandra Mustilli
Il primo salotto che hai trovato per strada ti ha colpito perché era un riferimento familiare: cosa ha smosso quel divano destinato alla fine?

Il primo salotto che ho trovato fu una copia del divano che c’era a casa dei miei genitori, su cui io sono cresciuta. Era un divano abbandonato, con la stessa fantasia, gli stessi colori, stessa tappezzeria, una tappezzeria di San Lucio vecchissima, che rivederla in quello stato mi ha fatto un po’ tipo “Il treno ha fischiato” di Pirandello. Cioè ho riflettuto d’impulso sul fatto che un oggetto, che sembrava quello su cui io sono stata seduta per anni, sia stato buttato completamente per strada.

Questa lettura del territorio è stata influenzata moltissimo dalla mia esperienza a Bruxelles. Qui, anni prima dell’apertura della pagina, avevo notato la pratica comune di lasciare e abbandonare i propri oggetti di casa agli angoli delle strade, per permettere a qualcun altro di prenderli, come una forma di riciclo. 

Questi pensieri devono essersi fusi fin quando poi non mi sono trovata, facendo invece un salto in avanti, un pomeriggio a chiacchierare con un amico e a guardare ironicamente questo divano, broccato, stupendo, meraviglioso, che faceva palesemente parte di una bella casa, chiedendoci: quante storie potrebbe raccontare? Quante cose potrebbe dire? Quante cose ha visto e ora invece giace così, devastato, sulla strada, in attesa di essere distrutto, portato dall’ASIA Napoli a diventare maceria?

Mi hai raccontato di come “Salotti napoletani” ti abbia aiutato ad individuare i problemi legati allo spazio urbano della nostra città: ti va di sottolinearne alcuni? 

Sicuramente in questi ultimi 5 anni è stato anche il momento in cui abbiamo visto Napoli cambiare di più. In alcune zone questo cambiamento era più evidente perché in certi punti era un continuo accumularsi di rifiuti; poi, ovviamente a posteriori, è stato facile capire che quelle foto che i followers della pagina mi inviavano ritraevano rifiuti provenienti dalle famose case svuotate per i turisti. 

“Salotti Napoletani”, in fondo, mi aiuta a vedere quali sono i problemi della città. Cioè quanto sono sensibili i cittadini al sistema dello sgombero dei rifiuti urbani da parte dell’ASIA Napoli, che è comunque un sistema un po’ lento e obsoleto. E, a quel punto, spesso prendono vita delle nuove situazioni, cioè molto spesso questi divani abbandonati, anche mobili e altro, stanno lì per mesi, trasformandosi, diventando altro.

Il “potersi appropriare della strada” e l’“effetto sorpresa”, la lettura più poetica: raccontaci. 

Questa è la lettura secondo me più interessante, che è anche quella più poetica: cioè il fatto di potersi appropriare della strada. Mi spiego: a volte questi salotti, questi angoli, questo arredamento urbano spontaneo è come se mi suggerisse, mi facesse vedere, mi evidenziasse dei luoghi dove per esempio noi non sostiamo, che non osserviamo, oppure in cui non abbiamo abbastanza panchine. 

Tutto ciò ti fa capire che, a volte, un divano messo in un vicolo quasi quasi ci starebbe proprio bene! Ci starebbe bene per la sua funzione, cioè permetterebbe di sedersi in un vicolo a guardare il passeggio. Questa è una cosa che abbiamo abbastanza perso soprattutto in centro a Napoli, dove non ti puoi sedere perché la città non è tanto arredata pubblicamente. Di bar e ristoranti ne abbiamo quanti ne vuoi, ma ricordiamo sempre che sul lungomare non c’è una panchina, che per me è la cosa più assurda. 

Infine, c’è anche questo senso di sorpresa che è lo stesso che mi dava un artista a San Carlo alle Mortelle, un signore che da vent’anni arreda la strada con i rifiuti che trova. Quel senso di sorpresa, di istallazione artistica, io a volte lo rivedo, nonostante tutto, anche in questi accumuli. 

Ho avuto poi nel tempo anche la fortuna di conoscere qualcuno che faceva qualcosa simile a me; c’è per esempio “Materassi tristi”, che è un’altra pagina seriale su Instagram che parte a Napoli. La persona che c’è dietro questa pagina raccoglie le foto di materassi su cui traccia un’emoji triste. 

In definitiva, riprendendo di nuovo le parole di Georges Perec per chiudere il cerchio, forse «bisognerebbe, o rinunciare a parlare della città, o costringersi a parlarne il più semplicemente possibile, a parlarne in modo ovvio, familiare. Scacciare ogni idea preconcetta. Smettere di pensare in termini bell’e fatti, dimenticare quanto è stato detto dagli urbanisti e dai sociologi».
Ecco il punto: trovare un modo nuovo. Ed è questo l’intento di “Salotti napoletani”, una pagina Instagram che mette insieme tutti gli scatti di mobilio – ancora raffinato o completamente rovinato – gettato in strada, pronto al ritiro, pronto alla fine, collezionando in un unico “album” gesti, foto, pensieri e riflessioni di tutti coloro che spontaneamente (e con leggerezza) fanno parte di questo progetto.

“Salotti napoletani” è un tentativo di guardare la città, un tipo di analisi che si può fare solo perché è un progetto corale, che si autoalimenta. Salotti non sarebbe durato 5 anni se non ci fossero tante persone che hanno iniziato a vedere la città come me. 

Cioè guardare arredi della strada come degli spunti. Perciò per me “Salotti napoletani” è una piccola creatura che spero mi porti in giro, mi porti sempre a guardare la città in un altro modo.

ANNARITA GENOVA
ANNARITA GENOVAauthor & founder
Mi occupo di pubblicità e giornalismo e penso che, tra tutte le parole che esistono, solo una viene con me. Me la porto al mare.
«Senza manco ‘o tiempo ‘e ce fá capí».
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